Udine | Teatro S. Giorgio, Sala Harold Pinter
22 marzo 2020 ore 19:00
* SOSPESO *
La chiave dell’ascensore
locandina
traduzione di Elisabetta Rasy
assistente alla regia Francesca Zerilli
L’attività del CSS Teatro stabile di innovazione del FVG è sospesa fino al 3 aprile
“L’amore è anche volontà di possedere l’altro. Quando questo istinto va fuori controllo gli esiti sono nefasti, perché un essere umano non si riduce mai ad un solo ruolo, sarà sempre anche altro rispetto alla parte che riveste in un determinato rapporto sociale (la coppia, ad esempio). E’ una lotta che l’oppressore non può vincere, sembra dirci Agota Kristof: il desiderio di liberta è insopprimibile; la Donna, piegata, resa folle, scissa, conserva comunque la volontà di essere un individuo e non cede all’assimilazione (…)
Frasi brevi, una sintassi cruda, dialoghi ridotti all’essenziale, assenza di aggettivi: il fascino di questo testo sta proprio nell’economia di mezzi e nella loro intensità. Nel teatro, luogo dell’incontro per eccellenza, l’autrice trova il mezzo ideale per esprimere il suo messaggio: la speranza è nella parola, nella comunicazione con gli altri”.
Fabrizio Arcuri
Una casa isolata, immersa nel bosco. Una Donna che attende il ritorno del Marito, in una stanza di un bianco incandescente, avvolta nella nebbia, con il vento che le muove i capelli. Sembra l’inizio di una favola. Ma è un nero “c’era una volta”. La chiave dell’ascensore è un testo teatrale di Agota Kristof, autrice di capolavori come Trilogia della città di K. Fabrizio Arcuri immerge la scena in uno spazio simbolico, di luci iridescenti, rumori sotterranei, echi sospesi, che a poco a poco svelano una realtà di cui sono piene le nostre cronache. Una storia di soprusi quotidiani, di segregazione, la nera testimonianza di una donna a cui resta solo la voce. Per fare sapere al mondo un’altra versione dei fatti.
“…Resta profondamente impressa nell'iride degli occhi, l'incandescenza bianca della sagomata quarta parete che per un'ora divide il pubblico dalla messinscena che il regista Fabrizio Arcuri ha riservato a La chiave dell'ascensore, data in consegna a Anna Paola Vellaccio per un a solo scisso tra apologo e diario reclusorio.
La prima abbagliante sensazione è quella di un orizzonte boreale, di un panorama niveo e distopico infittito di nebbia, dove incombe di spalle una sagoma femminile provvista di lunga chioma bionda e abito candido, lattescente...Lo spettacolo s'avvantaggia molto d'un soggetto torturato ma liliale, inconsapevole. Merito di un impianto che da preraffaellita tende all'artificiale, all'alieno, all'androide. Con un contributo intenso dell'interprete, che ha in extremis una reazione furiosa, con toni da fantascienza allucinata e visionaria, senza smettere però d'essere umana.”
Rodolfo Di Giammarco, La Repubblica