Colugna | Teatro Luigi Bon
15 gennaio 1993
16 gennaio 1993
Il grande racconto
l'Odissea vista da Tonino Guerra
Tonino Guerra ci ha regalato un piccolo tesoro: la sua voce custodita in una cassetta della durata di un’ora. In questa ora racconta a modo suo, per quanto si ricorda, l’Odissea.
locandinacollaborazione Marco Baliani
Tonino Guerra ci ha regalato un piccolo tesoro: la sua voce custodita in una cassetta della durata di un’ora. In questa ora racconta a modo suo, per quanto si ricorda, l’Odissea. Tonino ci ha fornito anche un’efficace struttura drammaturgica: il racconto che lui fa del poema lo ha sentito a sua volta raccontare da un vecchio, alla stazione di Bagnacavallo mentre aspettava il treno per tornare a casa.
Ascoltare il vecchio lo incanta; Tonino perde il treno e per tornare alla sua Itaca dovrà affrontare il periglio di altri treni, orari, coincidenze, corriere e una lunga camminata.
Una vera e propria Odissea.
Ascoltare la voce di Guerra registrata ha incantato anche noi, egli conosce naturalmente i segreti dell’affabulazione.
La trasposizione teatrale de Il grande racconto è costruita sulla figura di un personaggio, Rico, già incontrato in Racconto orientale (spettacolo del Teatro delle Briciole dedicato a Tonino Guerra - 1990): era lo sciocco, anzi lo scemo, il bambino nel corpo dell’adulto, semplice ma inafferrabile, follemente lucido ma imprevedibile.
E così Rico racconta al pubblico “... di quella volta che andò a Bagnacavallo a prendere i canarini che si era incantato a sentire un signore con una voce bella che raccontava una storia così vecchia ma così vecchia che non c’era ancora Gesù Bambino e c‘us ciameva l‘Odissea...
Rico, tra il ricordo delle parole del signore alla stazione e le sue riflessioni personali, racconta e mentre racconta si eccita, si spaventa, si illanguidisce, non ricorda più, si commuove, tiene per “Lulisse”, come lo chiama lui, ma lo sgrida anche: ”... No che cosa c’é andato a fare da Polifemo? Poteva mica andare a casa sua che c‘erano dei guai anche là?!...“.
Il sole tramonta e anche per Rico è ora di tornare dalla sua 'mà: ”...Però si sta bene qui a mangiare una mela, bere un bicchiere d’acqua e raccontarsi queste storiette: di tutte le cose questa é quella che più mi sta a cuore”.
Bruno Stori
L ‘ODISSEA DI RICO
Mi piace questo titolo perché restituisce al lavoro svolto con Stefano il doppio binario della fatica e dell’avventura.
C’é sempre un’odissea che il narratore principia ed intraprende quando cerca le parole del suo racconto. Poi c’é l’altro viaggio odisseico che é quello del personaggio, Rico in questo caso, che anche lui si cerca narrando.
La metafora può continuare: anche per il narratore la meta sembra sempre dietro l’angolo, a portata di mano, e invece andando per la via scopre che l‘arte del narrare non conduce alla meta ma disgredisce obliquamente, é anzi un modo per non giungere alla fine, forse anche perché la fine del racconto é la morte del personaggio, e dell’atto teatrale stesso, quando le luci si spengono e davvero si torna alla realtà.
Che dire del lavoro condotto insieme? Stefano ha aggiunto alla mia esplorazione del racconto un personaggio stralunato e denso di memoria, di paesaggio e di percorso (viene da un ‘racconto orientale’ e si porta dietro un intero paese) ma senza nostalgie di paradisi perduti, piuttosto lui stesso volontariamente perso, sperduto dietro a visioni di eroi e battaglie e donne che al momento di ascoltarle sembravano lontane cose e ora che le ri-racconta sono pezzi della storia di Rico. Così il racconto si appropria del narratore e lo conduce e Rico che sa leggere trova parole che divengono pensieri che si trasformano in esperienze. Peccato che nessuno ascolterà mai l’altra ora e passa di racconti che sono il testo nascosto, la memoria, gli scarti densi del per corso fatto e che stanno lì, dentro la passione di Rico, e che servono a dire e ad essere.
Ma anche questo fa parte del gioco del racconto: diradare rarefare lasciare tracce che nascondono altro, permettere il vuoto come se l’anima respirasse un po’.
Marco Baliani