Udine | Teatro Zanon
11 aprile 1985
13 aprile 1985

Diario di un pazzo

La storia scritta da Gogol e interpretata da Flavio Bucci si rivela indicatrice di una poetica del caos, in cui la logica è sostituita dalla fantasia e l’ordine dalla stravaganza dell’immagine.

locandina
anno
1985
testo
di Mario Moretti dall'omonimo racconto di N. V. Gogol
regia
Flavio Bucci
interpreti
Flavio Bucci
scene/luci
scene e costumi Giuseppe Crisolini Malatesta
musiche
musiche originali e canzoni S. Marcucci
produzione
Teatro Moderno

Il protagonista delle Memorie di un Pazzo, Aksentij lvanovìc Propriscin, è dominato da un’ idea fissa, il «cin», il «grado», distinzione sociale e burocratica voluta da Pietro il Grande, che aveva modellato la mandarinesca burocrazia russa secondo lo schema della gerarchia militare. La lenta, inesorabile progressione verso la follia, nasce in Propriscin dalla coscienza di appartenere all'ultimo gradino della scala sociale russa. E nasce da Gogol la leggendaria figura del perdente, dell'alienato, dell'umiliato e offeso. «Siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol», scrisse Dostoevskij, il quale porterà in profondità verticale quel sondaggio dell'animo umano condotto da Gogol con gusto pronunciato per il difforme, il grottesco, il surreale ante-litteram.
Nel trasporre molto liberamente la narrazione gogoliana in racconto teatrale, Mario Moretti prosegue una sua puntigliosa ricerca drammaturgica finalizzata a collezionare una serie di ritratti letterari e storici, per destinarli in una sorta di galleria dell’emarginazione sociale; Moretti ha individuato e riproposto in termini scenici questi passaggi, tenendo però presente che non si trattava di cucire un abito addosso ad un interprete occasionale. Dopo il successo de Le Opinioni di un Clown, Flavio Bucci apparirà probabilmente come uno dei pochissimi attori italiani in grado di rendere senza approssimazione il grottesco calvario di Propriscin. Ed è su Flavio Bucci che Moretti ha lavorato, attento a non limitarsi alla costruzione d’un personaggio, ma con l’intento di far rivivere un’intera vicenda, in un arco drammatico composito che non ha nulla a che vedere con la convenzione teatrale dello «One-Man Show». La storia scritta da Gogol (si direbbe, con la partecipazione emotiva di un io narrante) non offre solo la possibilità per una sia pur straordinaria performance d’attore, ma si rivela indicatrice di una poetica del caos, in cui la logica è sostituita dalla fantasia e l’ordine dalla stravaganza dell’immagine. Restituire questa immagine, dandole corpo teatrale attraverso la mediazione di un diverso linguaggio espressivo: questo è il significato della operazione condotta da Moretti, che suona anche come omaggio nei confronti di uno scrittore tanto più eccezionale quanto più eccentrico.
«L’arte di Gogol - scrive Vladimir Nabokov nel suo bel saggio - suggerisce che due linee parallele non, solo possono incontrarsi ma anche contorcersi ed intrecciarsi nei modi più stravaganti, così come due colonne riflesse nell'acqua, se questa è increspata, si abbandonano ai più vari tremolii Il genio di Gogol è proprio quell’increspatura».