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Tracce di un sacrificio
il mito di Alcesti in un campo di sterminio

Rita Maffei e Fabiano Fantini sono assieme narratori, testimoni e protagonisti della tragedia di Alcesti, trasferita, in una rilettura tutta contemporanea, fra le mura di un lager, dove il sacrificio dell’eroina per amore dell’amato Admeto si compie assieme a quello dei tanti innocenti che la Storia ci chiede di non dimenticare. 

locandina
anno
1996
testo
progetto drammaturgico e regia Fabiano Fantini e Rita Maffei
testi di Sofocle, Alfieri, Savinio, Yourcenar, Rilke, Levi, Piazza, Solzenicyn, Hillesum, Kafka, Turoldo, Pasolini, Pinter, Fassbinder, Müller, Yeats, Shakespeare
interpreti
Rita Maffei e Fabiano Fantini
scene/luci
disegno luci Alberto Bevilacqua
musiche
musiche tratte dalla Matthaeus Passion di J.S. Bach
e...
interventi pittorici Luigina Tusini
produzione
CSS Teatro stabile di innovazione del FVG

Tracce di un sacrificio – il mito di Alcesti in un campo di sterminio è stato uno dei maggiori successi produttivi del CSS. Uno spettacolo di riferimento, una tappa imprescindibile del nostro percorso artistico e produttivo. Dal suo debutto nel 1996, lo spettacolo ha viaggiato a lungo in Italia nelle 7 stagioni successive, in teatri e luoghi non convenzionali, vivendo grazie al passa parola emozionato degli spettatori. A tredici anni di distanza, ricostruiamo le stanze del lager, la fredda sala d’attesa della deportazione, rivisitiamo quel teatro delle emozioni e della memoria. In Tracce di un sacrificio Rita Maffei e Fabiano Fantini sono assieme narratori, testimoni e protagonisti della tragedia di Alcesti, trasferita, in una rilettura tutta contemporanea, fra le mura di un lager, dove il sacrificio dell’eroina per amore dell’amato Admeto si compie assieme a quello dei tanti innocenti che la Storia ci chiede di non dimenticare. Per i trenta spettatori - divisi tra quindici donne e quindici uomini - sarà un’esperienza di forte coinvolgimento accompagnare i due sposi nel doppio percorso parallelo dentro i corridoi, le stanze, la sala docce, le celle di prigionia ricavati in una scenografia resa attraversabile, opera della pittrice Luigina Tusini.

sullo spettacolo
Abbiamo scelto di raccontare la tragedia di Alcesti ambientandola nell’estrema condizione di un campo di sterminio. L’epoca è imprecisata, forse più prossima ai giorni nostri. Nel nostro astratto campo di sterminio c’è un comandante, Thanatos, un terribile capo che decide della vita e della morte dei suoi prigionieri. –“Io faccio il mestiere di Dio?”– E c’è Admeto che è condannato a morte. Ma c’è anche un signore, alto e bello, con la camicia di seta e un sorriso tranquillo (ve lo ricordate Oskar Schindler?) che, come Apollo, chiede a Thanatos di salvare la vita di Admeto, per la gratitudine che ha nei suoi confronti da quando –“cacciato da casa sua, venne a chiedergli aiuto”–. Anche il comandante, come Thanatos, accetta, ma vuole un altro al suo posto, un altro che accetti di morire per lui. Nel nostro campo di sterminio c’è Alcesti che dona la sua vita per salvare il suo sposo, che offre se stessa –“in sacrificio per questa città che ha bisogno di vittime”–. Il capro espiatorio muore. Senza ritorno. Il lieto fine dell’opera euripidea, con Eracle che lotta contro la morte e riporta Alcesti velata dal suo sposo, non ci appartiene. Rilke, nella lirica Alkestis, sospende il mito nell’attimo in cui Admeto chiude gli occhi per non vedere altro che il sorriso della sposa trascinata da Thanatos nel regno dell’Ade. Per Rilke non c’è ritorno, se non nella memoria. Questa è fra le tante versioni e riscritture del mito, quella a noi più vicina: non ci sono eroi che lottano con gli dei delle tenebre per riportare in vita i morti; c’è un’umanità che ricorda, che fa rivivere i suoi martiri nella ripetizione rituale del loro sacrificio. Ma senza illusioni. I morti tornano solo nell’attimo in cui i vivi li vogliono ricordare. Ed è nel sangue versato nel rito in loro memoria che troviamo la catarsi.

sulla drammaturgia
Abbiamo voluto approfondire la ricerca di una forma di scrittura drammaturgica originale, strettamente legata alla messinscena, che elabora, riscrive o semplicemente giustappone brani, frasi, versi rubati a testi non necessariamente teatrali. Partendo dall’Alcesti di Euripide e dagli altri autori che hanno frequentato questo mito – dall’Alcesti enfatica di Alfieri a quella femminista della Yourcenar, dall’analisi storica dell’Alcesti di Samuele di Savinio ai versi di dolore della lirica Alkestis di Rilke – abbiamo riscritto la storia della donna che per salvare il suo sposo sceglie di morire al suo posto, attraverso le testimonianze sui campi di sterminio di Primo Levi, Bruno Piazza, Etty Hillesum e sui gulag di Alexander Solzenicin, il racconto di una condanna senza colpa de Il processo di Franz Kafka e il sogno di Rosaura nel Calderon di Pier Paolo Pasolini, i versi sulla Morte di Sofocle, di Shakespeare, di Yeats e di Turoldo, il violento interrogatorio de Il bicchiere della staffa di Harold Pinter, i rifiuti di Fassbinder e la riscrittura dei classici di Heiner Müller.
Fabiano Fantini e Rita Maffei

sulla scenografia
Attraversata dalla sintesi figurativa delle pitture rupestri ai ricordi di civiltà ormai remote, il mio lavoro è sempre stato il risultato di studi su ciò che il segno, nella sua storia, racconta; dall’arte primitiva, agli affreschi delle case africane, dai graffiti ai segni del tempo passato, di civiltà o di singoli individui che hanno raccontato o raccontano degli eventi. In Tracce di un sacrificio il segno del tempo è raccolto sulle pareti, pareti che hanno vissuto ciò che l’uomo ha vissuto, pareti che conservano gelosamente i simboli di una storia accaduta o che sta per accadere. In questo caso la storia è crudelmente magica, noi guardiamo questi segni ripercorrendo un viaggio che, per quanto si possa immaginarne la fine, nasconde sempre un’entità talmente forte che non permette alla vita di interrompere il suo percorso.
Luigina Tusini

Immagini

Tournée

prima assoluta

9 gennaio 1996
Udine, Spazio Teatro Capannone