Udine | Teatro Palamostre
18 aprile
Cani di bancata
Emma Dante esce dal campo di esplorazione dei rapporti di famiglia finora al centro del suo teatro e entra in quello di una Famiglia dove ogni giorno chi vi appartiene si veste con abiti imbrattati di sangue.
CREDITScostumi Emma Dante
assistente alla drammaturgia Eleonora Lombardo
responsabile tecnico Antonio Zappalà
amministratore di compagnia Andrea Perini
foto Giuseppe Distefano
in collaborazione con Palermo Teatro Festival
La regista siciliana Emma Dante esce dal campo di esplorazione dei rapporti di famiglia finora al centro del suo teatro e entra in quello di una Famiglia dove ogni giorno chi vi appartiene si veste con abiti imbrattati di sangue. Nel recinto mafioso si può finire per nascita, per paura o per amore, ma una volta entrati i legami sono indissolubili, i patti infrangibili. Chi esce dalla mandria dei “cani di bancata”, gli animali che attendono gli avanzi di cibo a fine giornata sotto le bancarelle del mercato, è destinato a morire. Così, in un’isola del Nord di un’Italia capovolta c’è un popolo silenzioso più eloquente di mille parole e gesti, seduto attorno a una tavola imbandita che si spartisce il Paese e se lo mangia a crudo.
La mafia è una femmina-cagna che mostra i denti prima di aprire le cosce. È a capo di un branco di figli che, scodinzolanti, si mettono in fila per baciarla. Il suo bacio è l’onore. La cagna dà ai figli il permesso di entrare: “ Nel nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo”. Bastona il figlio più giovane e gli mette un vestito imbrattato di sangue. Il mafioso risorge e riceve dalla Madre la benedizione. I fratelli lo abbracciano e comandano il giuramento: “Entro col sangue ed uscirò col sangue”. Il patto si stringe (...) Questo rito antico è il folclore, è la mafia da cartolina di un “agriturismo” nelle campagne di Corleone dove si mangia ricotta e cicoria e si recitano le preghiere con Radio Maria. Ma il folclore è una tavola imbandita che serve a nascondere l'orrore.
Emma Dante