Udine | Teatro Palamostre, Sala Pier Paolo Pasolini
April 6, 2019 ore 21:00
Settimo cielo
CREDITStraduzione Riccardo Duranti
luci Andrea Gallo
tecnico del suono Lorenzo Danesin
in collaborazione con Angelo Mai/Bluemotion
6 aprile 2019 ore 21
Teatro Contatto
Udine, Teatro Palamostre
INCONTRI
al termine dello spettacolo Giorgina Pi e la compagnia incontrano il pubblico. Conduce Luisa Schiratti
Settimo Cielo è il capolavoro del 1979 di una delle più importanti autrici del teatro mondiale, Caryl Churchill.
Un viaggio tra le politiche del sesso vissuto da un gruppo familiare, prima catapultato nell'Africa coloniale di fine Ottocento, poi a Londra alla fine degli anni ’70 - anche se per loro sono passati solo 25 anni.
Mai rappresentato prima in Italia, ha il sapore di certe ambientazioni di Derek Jarman, l’impeto del movimento delle donne e degli omosessuali di quegli anni in Inghilterra, con Margaret Tatcher che proprio nel 1979 diventa Primo Ministro. Ha il fervore della ricerca di nuove forme che sostituissero l’immagine stereotipa della coppia e la famiglia, che ne rappresentassero le nuove istanze.
L’intera vicenda è permeata da un tema: il desiderio e la necessità della sua aderenza con la vita.
I personaggi vivono un tentativo di ridefinizione delle proprie identità, provano a superare i ruoli che gli sono stati assegnati, in un continuo parallelo tra oppressione coloniale e sessuale - ciò che Genet chiama “la mentalità coloniale o femminile della repressione interiorizzata”.
Immerso in una dimensione queer e punk Settimo Cielo deborda tra continenti e secoli, testimonianza di un’idea di vita stessa: essere quello che si vuole essere, non quello che si può. È il divenire postumano che modifica luoghi e relazioni.
In SETTIMO CIELO grazie ad una contrazione del tempo i personaggi vivono prima in epoca vittoriana nell’Africa coloniale e poi nel 1979 nella Londra swinging della rivoluzione sessuale.
I protagonisti sono una famiglia e il suo entourage: parenti, amici, conoscenti e amanti.
Nel primo atto Churchill sceglie di usare il cross casting – un uomo interpreta una donna e viceversa, un bianco un nero. Questa prima parte è un girotondo di adulteri commessi e fantasticati, un intreccio di passioni che nella pervasività di un artificio esibito mette in ridicolo l’ideologia patriarcale e imperiale che li anima. Nel meccanismo teatrale si ironizza sull’ipocrisia della censura nella letteratura vittoriana ai riferimenti sessuali che aveva l’effetto di riempirli di sottotesti erotici. La molteplicità delle passioni si complica ulteriormente quando la presenza sulla scena di corpi maschili e femminili smentisce paradossalmente il carattere trasgressivo di rapporti omosessuali tra personaggi incarnati da interpreti di sesso diverso e problematizza quelli eterosessuali tra personaggi affidati a interpreti dello stesso sesso.
Il cambiamento è la cifra del secondo atto, un cambiamento cercato attraverso la sperimentazione e l’interrogazione di sé, che coinvolge soprattutto soggetti che nel primo atto erano socialmente repressi: le donne e le/gli omosessuali. In una situazione in cui le concezioni di femminilità (e mascolinità) cominciano a non essere più rigidamente codificate, e sono diventati visibili, legittimi e pubblicamente agibili orientamenti sessuali diversi, i personaggi si muovono incerti e però pronti a mettersi in questione e reinventarsi nelle relazioni – soprattutto quelli che, invecchiati di soli venticinque anni, portano in sé l’eredità vissuta delle norme vittoriane. Più consapevoli, si trovano ancora a dover fare i conti la naturalità di ruoli, comportamenti e inclinazioni a seconda del sesso biologico o del colore della pelle e/o della cultura in cui si è nati, una concezione della famiglia come necessariamente strutturata sulla coppia eterosessuale, la tendenza a riproporre nel processo educativo le modalità impositive subite, magari rovesciando di segno i valori messi in questione nelle proprie vite.
L’Africa coloniale del primo atto è quella terra dei neri diventata una cartolina dei bianchi, col poco agio che comporta. Nei ruoli invertiti rispetto alle sessualità supposte (uomini interpretati da donne e viceversa) o al colore della pelle (neri interpretati da bianchi) – è il cross casting voluto da Caryl Churchill - risuona l’importazione inglese della cultura omofoba in Africa. L’erotica invenzione del selvaggio, le leggi punitive contro gli omosessuali che la Gran Bretagna impose nelle sue colonie e che ancora oggi dilaniano l’Uganda e altri paesi col carcere a vita per gay e lesbiche.
“ Questo testo è costruito su una vertigine: sociale, artistica, intima, storica di cui resta oggi intatto lo slancio, la necessità di percorrere una battaglia anche camminando sul suo crinale.
Gli uomini e le donne di questa storia sono dei transfughi, nei secoli e nei luoghi. Soggettività escluse, “impreviste” – per dirla con Lonzi e Fanon-, che tentano tra un atto e l’altro un processo di liberazione dal colonialismo imposto sulle loro vite.
Settimo Cielo è un’opera di decolonizzazione che passa attraverso il teatro come strumento di rivolta.
Giorgina Pi
Caryl Churchill
Altrove riconosciuta come drammaturga di prima grandezza, Caryl Churchill rimane in Italia scandalosamente poco nota al grande pubblico, ma apprezzata da chi ama, studia, pratica il teatro.
Churchill (1938) scrive da quando era appena adolescente, e già alla fine degli anni Cinquanta è stata rappresentata da compagnie amatoriali di studenti mentre studiava all'Università. Da allora si sono susseguite decine di testi per la radio, la televisione, il palcoscenico – un mutevole caleidoscopio e insieme un coerente riproporsi di temi, una straordinaria capacità di reinventarsi e reinventare il linguaggio e la scrittura del teatro, mantenendo una tensione civile e politica che illumina a volte quasi profeticamente le questioni più dure del presente. Tra i tratti caratterizzanti del lavoro di Churchill spiccano l’intreccio tra ricerca di innovazione formale e riflessione su alcune questioni ricorrenti: la famiglia e la società, la norma e la devianza, le relazioni di potere che anche violentemente regolano tali istituzioni e definiscono tali concetti, il corpo e la sua significazione.
La potenza della scrittura di Caryl Churchill ci mette di fronte – per riprendere il titolo di un suo breve articolo, scritto quando era poco più che ventenne – a un teatro “non normale, non rassicurante”, che pone sempre nuove domande e apre nuove strade; un teatro che vuole essere, ed è, insieme poetico e politico.