Che ci sta a fare qui una porta
Mario Jorio utilizza i più famosi testi di Beckett per la scrittura scenica. Con la Compagnia Oltre l'Immagine
CREDITSrealizzazione scenografica Stefano Innocenti, Carlo Garrone
datore luci Elio Marengo
realizzazione costumi Sartoria Teatrale Alessandro
«Bisogna continuare, non posso continuare, bisogna dire parole, sinché ce ne sono, bisogna dirle sino a quando esse mi trovino, sinché mi dicano, strana pena, strana colpa, bisogna continuare, forse mi hanno già detto, mi hanno portato sino alle soglie della mia storia, che ci sta a fare qui una porta, mi stupirebbe se si aprisse...»
Che ci sta a fare qui una porta è un'invenzione da testi letterari e teatrali di Samuel Beckett... sono costretto a continuare... Alcune differenze e ripetizioni costruiscono la struttura dello spettacolo... prima sporcare poi pulire...
Da una parte, in una situazione da Caffé, i personaggi la cui occupazione più vitale è la ricerca della parola, degli argomenti; dall'altra, in un contenitore vuoto, ora bianco, ora nero, i personaggi viaggianti, che malgrado tutto cercano qualcosa o semplicemente vanno e vengono o pensano di andare e venire, o sono fermi nello stesso posto ripetendo una serie di microazioni rimandate da un personaggio all'altro dei vari testi beckettiani.
L'utilizzo dei testi e dei suoi personaggi è diverso nel momento della trasposizione scenica. Un esempio per tutti. Krapp, che nel testo utilizza un registratore; qui userà un computer ed un video registratore. Macchine più complesse, ma che danno più possibilità di immaginare riferimenti, grumi di memoria o deboli richiami, non tanto i suoi quanto quelli di tutti gli altri pseudo personaggi. Quindi Krapp come memoria e coordinatore dei vari livelli dello spettacolo... ma devono esserci altri espedienti...La voce, in particolar modo quella dell'lnnominabile, (le voci, i fornitori, gli altri, quali altri...) è su nastro. L'inesauribile voce è un altro elemento portante della scrittura scenica. Prima di tutto per la costante ambiguità dell'identificazione e per le sue aporie, in secondo luogo sulla diversità dei linguaggi... incomprensibile inquietudine... Adesso è la parola che progressivamente si prosciuga, si sdoppia, si confonde intervenendo nello spettacolo su tre livelli: la parola detta in scena, la parola registrata, la parola scritta.
Il senso della parola è la ricerca del silenzio, ma il silenzio è innominabile e l'ironia e l'umorismo beckettiano si insinuano fino a... hop ... fisso ... altrove.
Bisogna evitare la confusione aspettando che si confonda. Riassumo: io e quel rumore.
La costruzione di Che ci sta a fare qui una porta si basa sui principi fondamentali della tematica beckettiana, non solo dal punto di vista drammaturgico, ma anche come metodo di montaggio della pièce. Dopo aver individuato le differenze e le ripetizioni ho proceduto per contraddizioni e associazioni creando un vortice di grumi - frammenti - sequenze di memoria.
L'operazione è evidentemente complessa, ma anche liquidatoria. Mi piace definirla una scrittura scenica in caduta libera, dove l'interruzione è la regola più costante.
Il gesto, la parola, l'immagine non si esauriscono in una conclusione, ma tutt'al più si lacerano, si sovrappongono, si negano o esplodono in qualcos'altro.
L'elaborazione dei testi, dopo un lavoro di smontaggio - sintesi - montaggio, si produce su livelli diversi.
Per quanto riguarda la parola: è detta/registrata/scritta (video-computer).
Un'altra manipolazione è sui livelli temporali, un processo che Beckett utilizza costantemente in tutta la sua opera.
La struttura portante di Che ci sta a fare qui una porta si basa su alcune situazioni significanti.
Dominante nella parola registrata é l'Innominabile, che ritengo l'opera più importante e significativa di Samuel Beckett.
Infine l'esaltazione dell'umorismo e dell'ironia verso tutto e tutti.
Mario Jorio