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Anfitrione

locandina
anno
2018
testo
scritto e diretto da Teresa Ludovico
interpreti
Michele Cipriani, Irene Grasso, Demi Licata, Alessandro Lussiana, Michele Schiano di Cola, Giovanni Serratore
scene/luci
spazio scenico e luci Vincent Longuemare
musiche
musiche dal vivo M°Michele Jamil Marzella
e...
coreografia Elisabetta Di Terlizzi
costumi Teresa Ludovico e  Cristina Bari
assistente alla drammaturgia Loreta Guario
consulente letteraria Lucia Pasetti
produzione
Teatri di Bari

9 marzo 2019 ore 21
Teatro Contatto
Udine, Teatro Palamostre

INCONTRI
Al termine dello spettacolo Teresa Ludovico e la compagnia incontrano il pubblico. Conduce Rita Maffei


Il doppio, la costruzione di un “Io” fittizio, il furto o la perdita dell’identità garantita da un ruolo sociale, sono i temi – per molti versi ancora attualissimi – del classico di Plauto di 2000 anni fa. La regista barese Teresa Ludovico trasloca la vicenda in un’atmosfera bollente e schizofrenica del Sud, in cui altalenano sei attori e un musicista, tra la Terra e l’Olimpo. Anfitrione e Alcmena ci appaiono figure di un mondo tutt’altro che tranquillizzante: un mondo dominato dalla violenza fisica, in cui la vendetta privata è l’unica forma di giustizia, esattamente come nelle dinamiche che prosperano nelle organizzazioni criminali, nelle mafie e camorre di ogni genere e livello.

Chi sono io se non sono io? Quando guardo il mio uguale a me, vedo il mio aspetto, tale e quale , non c’è nulla di più simile a me! Io sono quello che sono sempre stato? Dov’è che sono morto?. Dove l’ho perduta la mia persona? Il mio me può essere che io l’abbia lasciato? Che io mi sia dimenticato? Chi è più disgraziato di me? Nessuno mi riconosce più, e tutti mi sbeffeggiano a piacere. Non so più chi sono!

Queste sono alcune delle domande che tormentano sia i protagonisti dell’Anfitrione, scritto da Plauto più di 2000 anni fa, che molti di noi oggi.
Il doppio, la costruzione di un’identità fittizia, il furto dell’identità, la perdita dell’identità garantita da un ruolo sociale, sono i temi che Plauto ci consegna in una forma nuova, da lui definita tragicommedia, perché gli accadimenti riguardano dei, padroni e schiavi. In essa il sommo Giove, dopo essersi trasformato nelle più svariate forme animali, vegetali, naturali, decide, per la prima volta, di camuffarsi da uomo. Assume le sembianze di Anfitrione, lontano da casa, per potersi accoppiare con sua moglie, la bella Alcmena, e generare con lei il semidio Ercole.
Giove-Anfitrione durante la notte d’amore, lunga come tre notti, racconta ad Alcmena, come se li avesse vissuti personalmente, episodi del viaggio di Anfitrione.
Durante il racconto il dio provò, per la prima volta, un’ilarità che poi si premurò di lasciare in dono agli uomini. “Abbandonato il regno delle metamorfosi, si entrava in quello della contraffazione” Incipit Comoedia (R. Calasso). “Aprite gli occhi spettatori, ne vale la pena: Giove e Mercurio fanno la commedia, qui” (Plauto).
Da quel momento nelle rappresentazioni teatrali il comico e il tremendo avrebbero convissuto e avrebbero specchiato le nostre vite mortali ed imperfette.
Dopo Plauto in tanti hanno riscritto l’Anfitrione e ciascuno l’ha fatto cercando di ascoltare gli stimoli e le inquietudini del proprio tempo. Ho provato a farlo anch’io.

“Sei attori e un musicista per creare una coralità multiforme e tragica che però agisce come un contrappunto grottesco e farsesco in uno spazio che disegna doppi mondi: divino e umano. Un andirivieni continuo tra un sopra e un sotto, tra luci e ombre.
Realtà e finzione, verità e illusione, l’uno e il doppio, la moltiplicazione del sé, l’altro da sé e il riflesso di sé, si alterneranno in un continuo gioco di rimandi, attraverso la plasticità dei corpi degli attori, le sequenze di movimento, i dialoghi serrati e comici”.
Teresa Ludovico

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