The Fever

Dal testo di W. Shawn, Giuseppe Bevilacqua in un monologo diretto da Massimiliano Farau

locandina
anno
2002
testo
di Wallace Shawn
progetto artistico Alberto Bevilacqua, Giuseppe Bevilacqua e Mara Udina
adattamento di Massimiliano Farau e Mara Udina
traduzione di Mara Udina
regia
Massimiliano Farau
interpreti
Giuseppe Bevilacqua
scene/luci
scene Mara Udina
disegno luci Alberto Bevilacqua
musiche
musiche originali eseguite dal vivo da Silvio Donati
e...
costumi Mara Udina
produzione
CSS Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia

"Sono in viaggio: mi sveglio all'improvviso nel silenzio prima dell'alba in una stanza d'albergo straniera, in un povero paese dove la mia lingua non è parlata e sto tremando e rabbrividendo. Perché?"

The Fever si apre con questo folgorante incipit: quasi come un Gregor Samsa a cui sia stato concesso di raccontare in prima persona il risveglio che cambierà per sempre la sua vita, il protagonista del monologo di Shawn ci getta senza omplimenti nel cuore della sua metamorfosi (e non è un caso, forse, se il cruciale "momento d'intuito" che ne è la scaturigine avvenga di fronte ad "un insetto grande, come una grande cimice... piatto, pesante, le zampe molto dure, sembrano di metallo").
Di che metamorfosi si tratta, nel caso di The Fever ? Ci verrà detto di lì a poco: "dovevo viaggiare fino ad un povero paese dove nessun libro è stampato nella mia lingua; dovevo essere accasciato sul pavimento del bagno in un hotel straniero, perché fossi finalmente costretto ad aprire quest'insulso volume, il racconto della mia vita?". Noi assistiamo insomma, in diretta, per così dire, al ridestarsi della coscienza di un uomo che, in uno stato febbrile, mentre fuori dalla sua camera d'albergo straniera infuria una "piccola guerra", per la prima volta fa i conti, spietatamente, con l'ipocrisia e il compromesso su cui si fonda la sua condizione di privilegio sociale.
Ho detto in diretta e devo forse correggermi subito: in realtà questa diretta è al tempo stesso, enigmaticamente, una differita: sarebbe una diretta se il sipario si aprisse su una stanza d'albergo con bagno annesso, in cui un individuo in preda alla febbre delirasse e noi, raccogliendo i frammenti del suo farneticare, ci facessimo un'idea del suo percorso interiore.
Ma qui il protagonista, rivolgendosi direttamente ai suoi ascoltatori, racconta il suo percorso interiore, passo dopo passo; e tuttavia lo fa, misteriosamente, al presente.
Il presente di The Fever  è un tempo verbale sommamente enigmatico e spiazzante perché porta con sé anche una dislocazione spaziale: il protagonista è lontano dalla camera d'albergo, perché è qui con noi spettatori a parlarcene; ma ce ne parla al presente, dunque non da un luogo pacificato in cui i conflitti sono passati, risolti, sigillati in una chiarezza ideologica cristallina, ma da una convulsa "zona di guerra" (letterale e metaforica) che vive nelle sue parole, qui e ora.
Questa dislocazione spazio-temporale è il centro nevralgico della straordinaria operazione drammaturgica di Shawn (oltre che, mi si consenta lo sfogo, il più arduo problema interpretativo -per non dire l'incubo- di chi voglia portarla in scena). Attraverso di essa Shawn riesce a creare qualcosa che, come lui stesso ha dichiarato "se è, dopo tutto, in effetti, un dramma (su un certo personaggio che attraversa una certa esperienza) è anche al tempo stesso qualcosa di diverso da un dramma, una qualche specie di esortazione umana intesa a suscitare pensiero e azione, non apprezzamento o divertimento".
Il senso e l'orizzonte di tutto ciò è racchiuso in un'altra dichiarazione dell'autore: "I miei drammi in realtà parlano del pubblico, il personaggio principale siete voi".
In altre parole Shawn riesce, con The Fever , a inventare una macchina drammaturgica, inedita ed implacabile, che fa sì che il vero protagonista della serata, il vero soggetto della metamorfosi sia (o meglio possa essere), lo spettatore, sottoposto ad un'azione che non è di propaganda ideologica, ma per così dire, di "esposizione al contagio".
È come se Shawn dicesse: io non posso convincervi, non voglio convincervi, forse perché io, per primo, non sono in grado davvero di agire sulla base della mia consapevolezza ("tradire la mia gente? molto difficile.. ."), ma posso, forse, "attaccarvi la febbre".
Con quali risultati, non è dato né a Wallace Shawn, nè tanto meno a noi, suoi modesti tramiti, di saperlo.

Massimiliano Farau

Immagini

Tournée

prima assoluta

dal 5 al 7 aprile 2002

Teatro Contatto
Udine, Teatro S. Giorgio